07/01/10

Intervista a Nadia Urbinati


Nadia Urbinati
, nata a Rimini, è professoressa di teoria politica alla Columbia University. Vista la sua esperienza personale e professionale con lei parleremo del legame tra lo sviluppo socio-economico di un paese e la libertà dei suoi cittadini, e di quali siano le differenze tra Italia e Stati Uniti a riguardo.



Gli Stati Uniti sono sempre stati un paese con una popolazione molto eterogenea, che fino a qualche decennio addietro faceva della discriminazione verso certe categorie la legge, con l'appoggio di buona parte dell'opinione pubblica. Nonostante ciò nel giro di pochi anni si sono attivati dei processi che hanno portato a un rapido miglioramento della situazione, fino all'elezione del primo presidente afroamericano.

L'abolizione delle discriminazioni e l'estensione dei diritti è andata di pari passo con lo sviluppo socioeconomico del paese, mentre in Italia sta avvenendo sostanzialmente il contrario. Cosa può dirmi a riguardo?


In realtà la situazione è più complessa di come appaia. È vero che nelle grandi città americane si può parlare di emancipazione e sostanziale parità di diritti, ma nei piccoli centri e soprattutto nel Midwest dove c’é una popolazione culturalmente più omogenea, la situazione è ben diversa: la discriminazione é ancora un problema. I critici e gli oppositori di Obama, per esempio, mettono in dubbio che una persona di colore sia adatta a ricoprire la carica di Presidente.

È vero che i movimenti degli anni '60 e '70 hanno molto migliorato la cultura civile, tuttavia sarebbe sbagliato identificare la società americana con quella europea. La crisi economica è molto più' profonda negli Stati Uniti e molto più lontana da una risoluzione di quanto non appaia; la cultura neoliberale o liberista é molto diffusa e ostacola non poco la risposta alla crisi. E soprattutto spiega perché Obama venga tacciato di socialismo. Pensiamo alla riforma sanitaria che sta per essere approvata; essa ha ricevuto accuse addirittura di “comunismo”, di provocare uno sconvolgimento della società americana, che é libera e restia ad ammettere l’intervento dello stato. Gli americani considerano un’umiliazione non riuscire a coprire le spese sanitarie con i loro soldi perché nel loro modello sociale, lo stato interviene sono con i poveri e gli anziani, ovvero per aiutare chi non può. In Italia, ed in Europa, partiamo da presupposti molto diversi e da un diverso concetto di cittadinanza.



Sembra che nel nostro paese i cittadini debbano continuamente cercare di guadagnarsi il rispetto dello stato, debbano in qualche modo giustificarsi davanti ad esso per le proprio scelte, mentre dovrebbe avvenire il contrario, cioè' che sia lo stato a guadagnarsi il rispetto dei suoi cittadini. È possibile collegare l'arretratezza mentale di un paese con la sua arretratezza socio-economica?


Il problema reale dell'Italia mi sembra sia la mancanza di una cultura etica dei diritti. Forse la ragione di questa deficienza é da cercarsi nella tradizione religiosa, poiché il liberalismo é, come sappiamo, un fenomeno nato nei paesi della Riforma protestante, più individualisti e soprattutto incentrati sull’autorità della coscienza individuale, il senso della responsabilità di ciascuno. La cultura dei diritti presume una cultura dell’eguale rispetto degli altri e della propria responsabilità rispetto alla società.



Secondo lei un paese che si chiude alle differenze e al riconoscimento di uguali diritti per tutti, finisce per scontare degli svantaggi?


Di fatto l'Italia non può essere un paese chiuso, anche qualora lo volesse. Nemmeno le dittature riescono a chiudere le frontiere. E poi é il modello economico dello scambio e del mercato che impedisce di perseguire una politica di autarchia. Inoltre, l'immigrazione ci serve poiché ci servono tipi di lavoro che gli italiani non fanno più (quante sono le badanti italiane?). Ma più abbiamo bisogno di lavoratori stranieri più vediamo crescere una cultura e un linguaggio che sono razzisti e xenofobici. La ragione di questa contraddizione sta nel fatto che alcuni partiti, come la Lega Nord, impiegano questo linguaggio per usi propagandistici anche se di fatto nelle loro regioni accolgono lavoratori immigrati. La responsabilità di questi partiti é enorme perché contribuiscono, anzi alimentano un arretramento civile che ha cambiato in peggio il carattere della nostra società.



Ai primi di dicembre 2009 nel senato dello stato di New York si è discusso il "marriage equality bill" che avrebbe dovuto rendere legali le unioni tra persone dello stesso sesso. In quell'occasione la senatrice Diane Savino ha pronunciato un discorso molto emozionante in favore della proposta, con uno stile e un modo di porsi ben distante da quello che vediamo quotidianamente nel parlamento italiano. Nonostante la legge non sia passata si ha comunque la sensazione che l'argomento non sia stato sepolto e che comunque si sia fatto un passo avanti nel riconoscimento di un diritto. Pensando invece alla questione italiana dei DI.CO. l'unica cosa che viene in mente sono le polemiche e le dichiarazioni roboanti di questo o quell'esponente.


Al di là del discorso sui diritti il problema è che da noi manca un modo di fare politica basato sul discorso ragionato e la discussione franca. Non è possibile imbastire un dialogo con chi confonde i linguaggi, ad esempio chi usa quello della fede e delle opinioni private o morali per discutere di questioni che hanno a che fare con la vita civile di tutti, non solo di chi ha quella fede o quelle visioni morali. La confusione del privato con il pubblico é sotto gli occhi di tutti.

È inevitabile che in questo modo si finisca per provocare sterili guerre di opinione che lasciano il tempo che trovano e su cui non si può costruire un percorso futuro.

Come mostrano gli Stati Uniti, non è stato semplice ed immediato mutare il modo di pensare. Per quanto riguarda il razzismo, gli americani si sono impegnati per anni ad abolire tutte quelle forme linguistiche che potevano favorire lo scontro razziale. Il “politically correct” che noi critichiamo come un esempio di moralismo, é un segno di civiltà, perché quando parliamo nella sfera pubblica dobbiamo saper usare un linguaggio diverso da quello che usiamo tra amici e parenti.È la convivenza l’obiettivo a cui dobbiamo mirare non l’identità di opinioni: si può dissentire da come gli altri pensano o vivono, ma ciò non deve essere di impedimento al rispetto e non deve essere tradotto in offesa o disrispetto.



In definitiva è d'accordo nell'affermare che i paesi più liberi, dove i diritti sono più tutelati e dove le persone si sentono più libere di esprimersi siano quelli più sviluppati e con maggiori possibilità di crescita?


Certamente; del resto è stato dimostrato da scienziati politici e con dati affidabili che i paesi più avanzati economicamente sono anche quelli con una società democratica più stabile, e dove non é arduo ottenere il rispetto dei diritti da parte dei cittadini.


Laura Donati


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