11/01/10

Intervista a Mina Welby

Testamento biologico e diritti civili vengono spesso messi al margine dell’agenda politica, temi di interesse generale vengono presentati come rappresentativi di minoranze o, ancora peggio, di semplici individualità. Perché sempre più spesso la risposta a esigenze di carattere sociale, come è il diritto all’autodeterminazione, non ricevono risposte di carattere generale che sappiano mettere al centro l’individuo come parte della società? Tale pratica non distrugge la coesione sociale di una comunità e il suo spirito di solidarietà?

Governa alto il proibizionismo. Penso che sia ancora la mentalità del tempo fascista dove tutto veniva imposto o proibito. Stessa cosa succedeva nel Partito Comunista dove tutti seguivano quello che diceva la nomenclatura. Molti cittadini aspettano di essere imboccati, ma chi fa esperienza di vita di non rispetto della propria volontà in quello che è espressione del libero arbitrio, si ribella e cerca altri che la pensino come lui. Forse una nuova esperienza di coesione su temi diversi.
Gli esempi gravissimi di attacchi a chi si era reso pubblico difensore della libertà personale fino alla fine (Englaro, Welby), sono sicuramente serviti a chiarire e creare solidarietà sia per i protagonisti e su questi temi, anche con il coraggio di parlarne apertamente.
Importante il rispetto degli uni per gli altri comunque la pensino.
Lo stato offende il libero arbitrio dell’uomo nei suoi cittadini. Questo vale per tutte le legittime richieste dei cittadini di regolamentazione per legge di problematiche inerenti ai diritti civili. Credo che i cittadini siano migliori dei politici e non facciano mancare solidarietà tra loro. Ottimista? Forse, ma sicuramente confortata dalla solidarietà di molti cittadini.


Il dibattito politico italiano vede spesso forzatamente contrapposte l’introduzione del testamento biologico con quello che si definisce “il partito della vita”. Una continua diatriba tra laici e cattolici che nel merito non avrebbe ragion d’esistere. Partendo dalla constatazione che il concetto di laicità non si contrappone in alcun modo alla presenza di fedi religiose, mi domando come mai sia continuamente ricercato questo scontro ideologico che paralizza il dibattito politico, radicalizza le posizioni contrapposte, e costringe la società ad una scelta dicotomica tra fede e rispetto dell’altro?

Si è arrivati al punto di snaturare una regolamentazione delle disposizioni preventive sui trattamenti sanitari in modo che il libero arbitrio non ha più valore dal momento che non sei più capace di intendere e di volere o di comunicare. Si cerca di riabilitare il vecchio paternalismo medico abolito per legge, dove ognuno ha la libertà di scelta delle terapie, diritto di essere informato dal medico ecc. ma dove troppo spesso, anzi la maggior parte delle volte i medici curanti si rivolgono non al paziente grave o anziano, ma con la scusa che non “capisce”, si rivolgono ai parenti oppure fanno quello che sembra loro più pertinente. Tanto meno la politica vuole accettare una carta scritta sulle proprie volontà in tema di trattamenti sanitari. Non è più l’uomo ad avere il più alto valore nella sua libertà di decidere, bensì è una vita biologica definita il più alto valore di ciò che dell’uomo è rimasto, il corpo sostenuto nelle sue attività metaboliche. Anche se il catechismo della Chiesa Cattolica dice (art. 2278): "L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire". (Infatti il DDL Calabrò è scritto per gli stati vegetativi)
Paura di non fare più sperimentazioni? Che la tecnica medica non vada avanti?
La Chiesa (intendo la gerarchia) ha forse paura che, rispettando il libero arbitrio dell’uomo, le venga a mancare di poterlo dominare?
Dall’altra parte c’è la politica che fa merce di scambio del nostro libero arbitrio, asserendo di rispettare la vita indisponibile, facendo del vivere un dovere e ne fa un circolo vizioso dove l’uomo perde definitivamente la propria dignità, veramente non colui che è il sofferente, ma i “politici” e i “religiosi”. Se i protagonisti dialoganti, ma più che altro, “contrattanti” su vita e libertà avessero fede, rispetterebbero l’uomo nella sua piena libertà di coscienza, la Creatura di Dio.


Una democrazia attenta alle esigenze di classi sociali e individui ancora esclusi dal campo dei diritti non renderebbe la nostra società in una società per tutti più equa? Già questo semplice assunto non dovrebbe diventare il paradigma imprescindibile del nostro futuro?

Ci sono molti movimenti laici che cercano di rendere consapevoli i cittadini stessi sui propri diritti. L’assunzione della propria responsabilità nelle scelte del modo di voler vivere il proprio status viene dimostrato in modo eclatante per chiedere giustizia e togliere ogni discriminazione. È una battaglia quasi silenziosa portata avanti da singole persone, come da piccoli gruppi, per ottenere diritti uguali per tutti. I governanti di un paese dovrebbero prestare attenzione ai movimenti culturali e aiutare lo sviluppo e l’equità della formazione di tutti. Solo l’accesso alla formazione culturale di tutti indistintamente può dare ai cittadini consapevolezza di se stessi e appunto preparare così la base per una vera democrazia.

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