Se oggi guardiamo un po’ più in là di domani potremmo accorgerci di vivere alla fine di un ciclo politico. La fase politica, iniziata a metà degli anni ’80 con i governi conservatori statunitensi e inglesi, sta finendo, sia in Italia che nel Mondo. La decadenza della visione della società vista attraverso la lente del liberalismo economico è palese, chiara, quando un Presidente degli Stati Uniti viene associato ad una politica economica “socialista”.
Quali erano i parametri di questa cultura politica? Essenzialmente due: la critica alla società come gabbia dell’individuo (“la società non esiste” o “il governo non risolve problemi, il governo è il problema”) e la fine della partecipazione democratica in luogo del leaderismo mediatico.
Nonostante le piccole differenze, il nostro paese si è dimostrato un buon importatore di tutto questo. Il berlusconismo, e ciò che lo ha preceduto, ha sicuramente assorbito tanto da queste linee riuscendo a coniugarle con l’arretratezza e le paure della società italiana, senza trovare opposizioni alla regressione che queste idee avrebbero portato, come il presente ci dimostra, nella nostra società.
Cosa abbiamo fatto noi come centro-sinistra? Abbiamo rincorso, abbiamo rinunciato a tutte le nostre idee per perseguire solamente il rigore dei conti pubblici, giustissimo, e il buon governo del territorio, tra l’altro non sempre; al di là di questo ci siamo accodati, abbiamo scelto sindaci sceriffi con programmi stile “tolleranza zero”, abbiamo dimenticato la lotta alle disuguaglianze rincorrendo privatizzazioni sfrenate che legittimassero una classe dirigente che sentiva addosso la necessità di rinnegare le radici da cui proveniva, abbiamo svenduto il nostro partito a potentati locali o nazionali mantenendoci sempre disponibili ad un compromesso al ribasso che non abbiamo negato a nessuno. Abbiamo adattato al contesto locale (una frase usata spesso), abbiamo introdotto “riforme” di sistema mantenendo in vita un “sistema” politico e culturale da paese ottocentesco, e così abbiamo aumentato i privilegi e compresso i diritti, abbiamo fatto il federalismo e accettato la mafia, in un continuo pendolo tra innovazione e tradizione, nel solco della storia di un paese, forse unico, privo nella sua cultura di una rivoluzione democratica e liberale.
La decadenza dell’attuale governo di centro-destra ci costringe adesso, fortunatamente, a ripensare tutto questo. Riguardare consiste anche nell’accorgersi come il Partito Democratico sia stato fino ad ora visto non come una nave capace di traghettarci in un futuro alternativo quanto come una scialuppa di salvataggio sulla quale le vecchie classi dirigenti dovevano necessariamente salire per non perdere i loro piccoli privilegi. E per salire hanno rinunciato a tutti i pesi “superflui”, hanno rinunciato ad un programma di governo che sappia contrastare le disuguaglianze economiche e sociali, hanno rinunciato ad estendere le conquiste democratiche a tutte le minoranze.
Non possiamo più pensare di continuare così, i nostri prossimi obiettivi non potranno più essere legati alla sopravvivenza elettorale, dobbiamo alzare l’asticella delle nostre aspettative. Pensiamo ad un partito che possa rimettere al centro del proprio discorso uguaglianza e partecipazione, che sappia trasformare il proprio elettorato nell’attore principale di una storia capace di riportare al centro di tutto la cultura della solidarietà. Non possiamo più accettare il discorso per cui Berlusconi incarna l’Italia; il centro-destra incarna un paese arretrato, incapace di concepire il vivere sociale, incapace di immaginare un futuro. Abbiamo fino ad ora mantenuto nelle nostre prospettive un’asticella bassa, che possa comprendere tutti, naturalmente nella logica non del “non lasciare indietro nessuno” quanto in quella di “prendere su un po’ tutti” perché questo è il paese e non possiamo pensare di governarlo estraniati dalla società. Adesso è il momento di cambiare la società, di saper affrontare i temi dei diritti e dell’uguaglianza indicandoli come problemi sociali da affrontare nell’insieme. Riprendere l’idea della partecipazione politica come componente fondamentale della vita di un cittadino, politica che non può più esaurirsi nella scheda elettorale ma che ha bisogno di partecipazione viva ed attiva. Alziamo l’asticella delle nostre aspettative, anzi delle nostre pretese, apriamo quel occhio che troppo spesso c’è stato consigliato di tenere chiuso e pretendiamo il massimo, perché se penso alle aspettative mi viene in mente la divina provvidenza e di uomini della provvidenza non ne voglio proprio.
Giovanni Carghini
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