È dovere della politica, e quindi nostro, riflettere e confrontarci su tematiche che così tanto hanno a che fare con la vita delle persone come i Diritti e le Libertà.
Consapevoli che libertà significa estensione dei diritti per tutti, vogliamo porre l’accento sui diritti civili e sociali dell’individuo, ovvero su tutto quell’ ambito di interesse che pone il cittadino-persona come punto di partenza per lo sviluppo della società civile. Il concetto che più di ogni altro funziona da garante per il rispetto di questo tipo di libertà sociale è sicuramente quello della laicità, intesa come condizione imprescindibile per includere ed accettare l universo persona nella sua accezione più complessa e dignitosa del termine.
Occorre iniziare a pensare che solo attraverso la piena presa coscienza di quanto siano complessi e diversificati i bisogni umani e del riconoscimento dell’estrema ricchezza che da questo deriva, possiamo condurre una crescita responsabile della società moderna. Questo processo ha però bisogno di un crescente esercizio di libertà e di una continua messa in atto di questo, che parta dal rispetto di sé per diventare rispetto dell’altro e di tutte le sue scelte. A maggior ragione proprio perché la nostra attuale società è una società in evoluzione, veloce, articolata, abbiamo bisogno di metabolizzare questa pratica esercitandoci nel dare libertà ai diritti umani e civili. Serve dunque, un tipo di cultura rispettosa per la coscienza di ognuno che accorpi nella parola libertà anche quella di responsabilità: responsabilità del singolo che sceglie per sé nel rispetto dell’altro. La battaglia non è quindi per l individuo, ma bensì per tutti; perché è la capacità di includere che crea la dimensione sociale; rispettando da individui laici le nostre diversità e condividendole attorno ai principi fondanti della nostra costituzione noi diventiamo uomini liberi.
Un partito come il partito democratico deve farsi carico delle questioni di maggior impatto sulla vita delle persone, deve fare di più, non le deve lasciare sole di fronte a temi etici che interessano le coscienze e che a causa di un grave vuoto legislativo si prestano a facili quanto riprovevoli strumentalizzazioni ideologiche. In questo senso le coscienze dei singoli sono maturate prima di una legge dello stato; questo si è verificato anche nel territorio della provincia di Rimini, in particolare nel comune di Santarcangelo di Romagna, dove è stata votata la mozione per l introduzione di un registro del “testamento biologico”; ovvero un documento legale e gratuito che rende possibile indicare in modalità preventiva la volontà del singolo circa la decisione di accettare o meno cure sanitarie in caso di una sopraggiunta incapacità fisica o mentale. Nel sottolineare il rispetto e la sensibilità con cui è stato affrontato questo tema, così implicato nelle scelte personali di vita, vorremmo riproporre uno stralcio dell’articolo di Bartolomeo Sorge fine vita la riflessione continua proposto nel consiglio comunale di Santarcangelo di Romagna del 27 novembre 2009 dal consigliere PD Emanuele Zangoli a sostegno della mozione:
“Esiste un diritto a morire con dignità, evitando sofferenze inutili. Pertanto, «l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie e sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire». In tal caso, si dovranno tuttavia mettere in atto una «terapia del dolore» e «cure palliative» adeguate, favorendo forme di solidarietà e di accompagnamento che aiutino l’infermo (soprattutto nella fase terminale) ad arrivare alla morte in maniera dignitosa, superando il senso di disperazione che prende quando ci si vede abbandonati e si è lasciati a soffrire in solitudine.
Tant’è vero che lo stesso documento della Congregazione per la Dottrina della Fede afferma che l’obbligo di somministrare cibo e acqua per vie artificiali permane «nella misu-ra in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria». Si apre quindi il problema della competenza a formulare il giudizio sulla sopravvenuta inutilità o incapacità dell’alimentazione artificiale di raggiungere la finalità propria. È possibile, e in base a quali criteri, che l’«assistenza medica» in una determinata situazione non solo diventi inutile, ma si trasformi addirittura in «accanimento terapeutico»? Chi lo stabilisce? Chi può decidere, di conseguenza, che in quel caso concreto la nutrizione forzata si può sospendere? È evidente che questo giudizio, essendo di natura tecnica, non può venire né dai magistrati, né dai vescovi, né dal solo tutore. Sembra, tuttavia, scorretto stabilire chi ha diritto a dire l’ultima parola, dal momento che la decisione finale dovrebbe essere una scelta condivisa, frutto e coronamento di un’alleanza terapeutica stabilitasi nel tempo tra i vari soggetti che, in un modo o nell’altro, sono parti in causa nella vicenda: paziente, medico e personale sanitario, familiari e persone vicine. La storia di Eluana Englaro, perciò, impone che si chiarisca finalmente a livello legislativo la questione del rapporto tra il dovere professionale dell’équipe sanitaria e l’autodeterminazione del paziente cosicché, da un lato, sia tutelata l’autonomia decisionale dei medici e del personale sanitario — oggi spesso compromessa dal timore di incappare in responsabilità penali — e dall’altro sia garantita la libertà del malato di scegliere le cure e la loro eventuale sospensione, come prevede la nostra Costituzione: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» (art. 32).
In altre parole, la dichiarazione anticipata che il cittadino potrà liberamente fare circa i trattamenti medici che intende ricevere o rifiutare in caso di malattia irreversibile non dovrà sostituirsi al parere del medico, trasformando quest’ultimo in un mero «esecutore testamentario»; dovrà servire piuttosto a orientarne la decisione che egli prenderà in scienza e coscienza, quando sarà il momento, confrontandosi anche con un eventuale fiduciario designato dal paziente.”
In sostanza si evince da tali posizioni la volontà di distinguere tra assistenza medica e accanimento terapeutico avvalendosi di una decisione condivisa tra personale sanitario, eventualmente tutore e chiaramente “testamento biologico” del paziente.
L’importanza data al testamento biologico riguarda la libertà di autodeterminazione della volontà della persona, la possibilità di esprimere e quindi rendere note anticipatamente in tutta coscienza scelte di vita e di fine vita nel rispetto della stessa e di chi potrebbe trovarsi ad assisterci. La politica dunque, anche a livello locale, può e deve ricavarsi degli spazi di intervento a maggior ragione su tematiche di questa natura, andando a riempire dei pesanti vuoti legislativi lasciati da un orientamento nazionale che permette ancora la strumentalizzazione di questioni estremamente tragiche nella vita delle persone.
Flavia Vannoni e il gruppo giovani PD Santarcangelo di Romagna
10/01/10
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