19/01/10
15/01/10
RIMINI, REGIONE STRANIERA?
Sala del Buonarrivo Corso D’Augusto 231 / Rimini
RIMINI, REGIONE STRANIERA?
Libertà come multicultura.
Partendo da una fotografia statistica della situazione riminese curata da Rossella Salvi (Ufficio Statistica provincia di Rimini), con la presentazione del nuovo Libro “Regione Straniera, viaggio nell'ordinario razzismo padano” di Giuseppe Civati: un pomeriggio in cammino sulla via tortuosa dell’integrazione e della lotta al razzismo.
Con
Giuseppe Civati
(scrittore e esponente PD)
(scrittore e giornalista)
Regione Straniera, viaggio nell'ordinario razzismo padano
OrganizzaDiritti&Libertà!
12/01/10
2° INCONTRO GRUPPO DI LAVORO "DIRITTI&LIBERTA'"
sala del Buonarrivo (CORSO D'AUGUSTO 231 /RIMINI)
ore 21.00
2° riunione del Gruppo di Lavoro
per l'impostazione del documento sintetico finale da presentare alla conferenza programmatica.
qui è possibile scaricare tutti gli interventi del blog in formato word
Contributo al Gruppo di Lavoro (di Grazia Nardi)
Una qualità morale ed intellettuale anche grazie al fatto che i contributi delle interviste e dei post oltre quelli diretti, hanno consentito una visione fuori di tatticismi e localismi elevando il pensiero, come deve essere in un Partito che si candida a governare in alternativa al centrodestra, ad una idealità di valori e obiettivi. Non come vorremmo ma come deve essere la società nella quale aspiriamo a vivere e per la quale (e solo per questo) siamo disposti ad impegnarci.
Se c’è un limite (non tanto nel Gruppo di cui sopra) ma nell’impostazione complessiva della Conferenza Programmatica, è nel “numero” ovvero nel target “smosso”.
Perché, questo è il punto, i temi trattati hanno una loro validità a prescindere, si possono addirittura ritenere universali ma la nostra meta immediata era ed è la Conferenza Programmatica che, per sua stessa definizione, non dovrebbe essere una passerella di interventi scollegati o una vetrina di virtuali principi bensì il luogo ed il momento in cui definire il “programma” dei nostri governi (in questo caso locali), le linee dello sviluppo economico e sociale della comunità (provinciale) riminese.
Non un passaggio (seppur rilevante) interno al PD (di inventari ne abbiamo fatti fin troppi!) ma la riposta ad un’esigenza inderogabile: fare il punto della situazione del nostro territorio (dati alla mano, rilavati da osservatori oggettivi), coglierne le criticità e le potenzialità per rilanciare una nuova proposta radicata nel presente e proiettata nel futuro. Mettendo in conto il nostro contributo al programma regionale, le linee di base del programma del PD per il rinnovo dell’Amministrazione Comunale di Rimini, la nuova lettura del territorio provinciale alla luce della nuova geografia territoriale (vedi bassa valmarecchia) e politica come configuratasi dopo l’ultima tornata elettorale.
Ed alludo non solo ai Comuni passati o confermati al centro destra ma anche a nuovi equilibri determinatasi nella Amministrazioni di centro sinistra ed al tema delle alleanze che pur divenuto quello fondamentale nel cammino politico è tenuto al di fuori di ogni aperto e soprattutto reale confronto. Una Conferenza Programmatica deve dare i contenuti ed i parametri su cui costruire le alleanze. Certo, con l’altrettanta realistica consapevolezza delle mediazioni sui costruire i percorsi, avendo però chiara quale sia la nostra base di partenza.
Queste finalità andavano stimolate, provocate anche in contradditori cercando di arrivare ad una massa che, indipendentemente dall’appartenenza politica e dalla frequentazione partitica, sicuramente vive problemi e le aspirazioni di cui anche noi siamo portatori, dunque un potenziale enorme da intercettare, coinvolgere, attrarre. E non solo la “massa” ma anche il sistema organizzato che, soprattutto nella nostra realtà locale, deve vedere nel PD una forza di riferimento fondamentale. Un confronto tra sindacati e imprenditori, tra lavoratori stagionali e imprenditori turistici? Tra associazioni inquilini ed urbanisti? Un’indagine sugli orari e l’apertura degli esercizi? Un test sulla “visione di genere” della città? Una lettura su come interpretare le competenze degli enti locali in una visione federalista? La nostra sui quartieri non solo sotto il profilo istituzionale ma come diverso ambito di aggregazione locale, eccc, eccc. ccc. La Conferenza, quindi, come momento di sintesi.
Per questo riprendo l’indicazione data all’incontro di domenica scorsa per cui il diritto all’accesso dei servizi resi (in questo caso) dagli Enti Locali della Provincia di Rimini deve essere garantito a tutti senza alcuna discriminazione (vedi finanziaria regionale).
Questo deve diventare un punto fermo della risoluzione programmatica del PD nella Conferenza del 18. Mentre per quanto attiene le disposizioni regionali, suggerisco che sia data l’interpretazione secondo cui il diritto all’accesso così come sancito dalla finanziaria, ai “servizi erogati dalla Regione ER”, dal momento che la regione non eroga direttamente i servizi ma finanzia gli enti locali, sia per questo esteso, a livello di Comuni e Provincia, a tutti i servizi finanziati dalla regione (scuole, nidi, area anziani, PO, ecc).
Grazia Nardi
11/01/10
Una battaglia per la "famiglia"
I Tre Magi
Ieri stavo studiando su un testo scritto da una mia professoressa di Pedagogia all'Università di Bologna. Il paragrafo riguardava l'analisi delle fiabe, delle favole e della tradizione religiosa.
In particolare l'autrice stava riflettendo sulla vicenda dei tre Re Magi che seguendo la stella cometa giungono alla capanna di Betlemme. Lo studio effettuato secondo me merita molta attenzione e voglio condividerlo con voi.
I tre Magi provenivano da luoghi differenti e seguivano la LORO rivelazione. Tutti e tre erano convinti di essere stati predestinati a contemplare qualcosa di grande, qualcosa che gli altri non potevano comprendere ma che solo loro, grazie alla loro cultura e alla loro sapienza, avevano saputo giustamente interpretare.
Ad un certo punto del loro cammino però ognuno di questi Re, ognuno di questi uomini ricchi, infinitamente sapienti, superiori a livello culturale a qualsiasi altra persona avessero incontrato sul loro cammino, incontra L'ALTRO. Scopre che esistono altri sapienti, diversamente colti. Altre due persone abbastanza illuminate da poter capire che era necessario seguire quella stella.
Non erano gli unici detentori della verità.
Cosa fanno allora i tre estranei riccamente vestiti? Si siedono attorno ad un fuoco e parlano.
Confrontano i loro calcoli astronomici per essere sicuri di riuscire ad arrivare nel luogo giusto, non osservano le loro differenze ma guardano al fine comune.
ACCETTANO LIDEA CHE LA STESSA VERITA' POSSA ESSERE OSSERVATA DA PROSPETTIVE DIVERSE DALLA LORO, ACCETTANO L'IDEA DI NON ESSERE GLI UNICI PADRONI DELLA CONOSCENZA, RICONOSCONO NELL'ALTRO LA PROPRIA DIGNITA' E NELLE PIAGHE SULLE MANI DELL'ALTRO LE STESSE FATICHE ATTRAVERSATE DA LORO STESSI.
Non sapevo se un contributo simile potesse rivelarsi adeguato in queste ore, quando a Rosarno sta succedendo ciò che sentiamo al telegiornale, quando più che sedersi attorno ad un fuoco e parlare, italiani ed extracomunitari vorrebbero solo non doversi guardare in faccia.
Forse, come i re Magi dovrebbero imparare ad ascoltarsi e ad accettare l'idea, entrambi, che diverso non vuol dire sbagliato ma soltanto diverso.
I luoghi della partecipazione
Quale sia la maniera migliore di "partecipare" alla vita ed alle scelte delle nostre città non è sempre chiaro.
Per ciò che mi riguarda ho vissuto l'ultimo decennio nella ricerca di metodi migliori per allargare la partecipazione alla vita istituzionale della Circoscrizione n. 4 di Rimini di cui sono presidente.
Con una popolazione che sfiora i 25 mila abitanti e con un territorio piuttosto esteso è impossibile raggiungere tutti ma si possono creare le relazioni nelle varie realtà. Ma con quali metodi?
Ho scoperto nel tempo che i cittadini in genere partecipano se sentono un problema o sono portatori di istanze che li riguardano, non si sentono partecipi ai problemi od alle scelte che si pongono in generale. Spesso vogliono essere informati ma non si sforzano di contribuire al dibattito.
Sono forse i temi che non attraggono?
Eppure, singolarmente, molti temi mi vengono posti.
Sono forse i tempi che sono cambiati?
Io credo che effettivamente i tempi siano cambiati.
Da anni vedo sempre meno persone che si avvicinano alle Circoscrizioni, anche i Consiglieri sembrano stanchi e demotivati: tutto questo perchè non si incide sulle scelte.
Nella primaverà del 2011 si chiuderanno definitivamente le Circoscrizioni di Rimini, ci sarà un vuoto che, come indicavo prima, non sarà uguale in tutti i territori.
Cosa sostituirà questi presidi dell'Amministrazione Comunale?
Quali saranno le scelte della prossima Giunta non lo possiamo sapere in questo momento.
Ciò che sappiamo con certezza è che il Partito Democratico ha già uno straordinario strumento di partecipazione: I CIRCOLI.
Che poi non sono niente di nuovo se andiamo con la memoria indietro di qualche decennio: i partiti popolari del tempo avevano luoghi di incontro e di discussione in ogni frazione ed i politici e gli eletti non mancavano di andarci per il confronto.
Posso garantire che c'è, in particolare nelle zone più lontane dal centro, l'esigenza di partecipare di essere ascoltati e di essere informati.
Sta al Partito Democratico fare il salto di qualità investendo sempre più nei circoli (e se mi permettete anche nei sotto circoli) per una capillare presenza tra la gente.
Giovanna Zoffoli
Sempre sul tema:
In considerazione dell’abrogazione delle circoscrizione nei comuni con popolazione inferiore a 250.000 abitanti. Il circolo, quale organo di partecipazione diffusa e diretta della comunità e di collegamento tra il territorio e il partito, deve assumere e rappresentare le istanze di gestione ordinaria della circoscrizione.
Quindi il circolo da organo di discussione e partecipazione politica – che come tale deve essere rafforzato e tutelato - deve acquisire connotati di centro di controllo e “amministrazione” del territorio di riferimento.
Marco Brunori
Consigliere di Quartiere (Q1)
Intervista a Mina Welby
Governa alto il proibizionismo. Penso che sia ancora la mentalità del tempo fascista dove tutto veniva imposto o proibito. Stessa cosa succedeva nel Partito Comunista dove tutti seguivano quello che diceva la nomenclatura. Molti cittadini aspettano di essere imboccati, ma chi fa esperienza di vita di non rispetto della propria volontà in quello che è espressione del libero arbitrio, si ribella e cerca altri che la pensino come lui. Forse una nuova esperienza di coesione su temi diversi.
Gli esempi gravissimi di attacchi a chi si era reso pubblico difensore della libertà personale fino alla fine (Englaro, Welby), sono sicuramente serviti a chiarire e creare solidarietà sia per i protagonisti e su questi temi, anche con il coraggio di parlarne apertamente.
Importante il rispetto degli uni per gli altri comunque la pensino.
Lo stato offende il libero arbitrio dell’uomo nei suoi cittadini. Questo vale per tutte le legittime richieste dei cittadini di regolamentazione per legge di problematiche inerenti ai diritti civili. Credo che i cittadini siano migliori dei politici e non facciano mancare solidarietà tra loro. Ottimista? Forse, ma sicuramente confortata dalla solidarietà di molti cittadini.
Il dibattito politico italiano vede spesso forzatamente contrapposte l’introduzione del testamento biologico con quello che si definisce “il partito della vita”. Una continua diatriba tra laici e cattolici che nel merito non avrebbe ragion d’esistere. Partendo dalla constatazione che il concetto di laicità non si contrappone in alcun modo alla presenza di fedi religiose, mi domando come mai sia continuamente ricercato questo scontro ideologico che paralizza il dibattito politico, radicalizza le posizioni contrapposte, e costringe la società ad una scelta dicotomica tra fede e rispetto dell’altro?
Si è arrivati al punto di snaturare una regolamentazione delle disposizioni preventive sui trattamenti sanitari in modo che il libero arbitrio non ha più valore dal momento che non sei più capace di intendere e di volere o di comunicare. Si cerca di riabilitare il vecchio paternalismo medico abolito per legge, dove ognuno ha la libertà di scelta delle terapie, diritto di essere informato dal medico ecc. ma dove troppo spesso, anzi la maggior parte delle volte i medici curanti si rivolgono non al paziente grave o anziano, ma con la scusa che non “capisce”, si rivolgono ai parenti oppure fanno quello che sembra loro più pertinente. Tanto meno la politica vuole accettare una carta scritta sulle proprie volontà in tema di trattamenti sanitari. Non è più l’uomo ad avere il più alto valore nella sua libertà di decidere, bensì è una vita biologica definita il più alto valore di ciò che dell’uomo è rimasto, il corpo sostenuto nelle sue attività metaboliche. Anche se il catechismo della Chiesa Cattolica dice (art. 2278): "L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire". (Infatti il DDL Calabrò è scritto per gli stati vegetativi)
Paura di non fare più sperimentazioni? Che la tecnica medica non vada avanti?
La Chiesa (intendo la gerarchia) ha forse paura che, rispettando il libero arbitrio dell’uomo, le venga a mancare di poterlo dominare?
Dall’altra parte c’è la politica che fa merce di scambio del nostro libero arbitrio, asserendo di rispettare la vita indisponibile, facendo del vivere un dovere e ne fa un circolo vizioso dove l’uomo perde definitivamente la propria dignità, veramente non colui che è il sofferente, ma i “politici” e i “religiosi”. Se i protagonisti dialoganti, ma più che altro, “contrattanti” su vita e libertà avessero fede, rispetterebbero l’uomo nella sua piena libertà di coscienza, la Creatura di Dio.
Una democrazia attenta alle esigenze di classi sociali e individui ancora esclusi dal campo dei diritti non renderebbe la nostra società in una società per tutti più equa? Già questo semplice assunto non dovrebbe diventare il paradigma imprescindibile del nostro futuro?
Ci sono molti movimenti laici che cercano di rendere consapevoli i cittadini stessi sui propri diritti. L’assunzione della propria responsabilità nelle scelte del modo di voler vivere il proprio status viene dimostrato in modo eclatante per chiedere giustizia e togliere ogni discriminazione. È una battaglia quasi silenziosa portata avanti da singole persone, come da piccoli gruppi, per ottenere diritti uguali per tutti. I governanti di un paese dovrebbero prestare attenzione ai movimenti culturali e aiutare lo sviluppo e l’equità della formazione di tutti. Solo l’accesso alla formazione culturale di tutti indistintamente può dare ai cittadini consapevolezza di se stessi e appunto preparare così la base per una vera democrazia.
Contributo di Massimiliano Fabi
2) x la cittadinanza di chi risiede da tempo in italia dovremmo muoverci a livello europeo trovando un numero max di anni e determinate condizioni(assenza di reati penali) x dare cittadinanza all immigrato anche senza che abbia sposato un'italiana
3) contingentare anche le richieste d asilo politico ammissibili,altrimenti con la storia che in somalia c'è la guerra chiunque dimostri di provenire da quel paese ha il permesso di soggiorno alla faccia di tanti altri africani,e la gente ci ride in faccia:seguendo questo principio dovremmo forse prenderci 2 mln di somali quando gia manca il pane x i nostri denti?prima viene la realta,poi l ideologia
4)diritto x chiunque ad avere luoghi di culto,quindi intervento a livello governativo nel caso in cui certe giunte comunali neghino l autorizzazione ad aprire moschee o altri templi x motivi diversi da quelli sanitari o urbanistici
5)intervento a livello di codice civile nel caso un immigrato voglia di comune accordo con le partner veder riconosciuta la propria poligamia:rifiuto del riconoscimento della poligamia come veicolo x allargare diritti di ricongiungimento,pensione di reversibilita o altri benefici economici.i diritti estesi al coniuge non devono andare oltre la tradizionale prassi del nostro ordinamento,non x questione di principio,ma perche colla scusa della poligamia un solo uomo potrebbe avere i benefici spettanti al coniuge moltiplicati a svantaggio di coppie tradizionali,con comprensibile scandalo dei monogami e salasso x le casse pubbliche.tutti gli altri diritti in termini di trasmissione di eredita,affidamento dei figli,diritto di visita,di consultazione testamentaria ecc,vanno discussi senza pregiudizi
6)la sharia:una comunita islamica vuole dirimere questioni di diritto civile interpretandole in base al diritto coranico?benissimo,facciano pure,liberano i nostri tribunali da ulteriori cause e non ci costa nulla riconoscere valore legale alla risoluzione di una controversia privata sulla base di un diritto riconosciuto per iscritto da ambo le parti in causa
7)respingimenti in mare:solo un deficiente non si accorge che la gente è entusiasta del fatto che si rimandino indietro i clandestini,e come su altre questioni è inutile riempirsi la bocca di buone parole dicendo:ah,l'onu vuole cosi,la cee vuole cosà.la gente se ne sbatte e se ha votato a dx sappiamo che questo è uno dei motivi,non pijamose x il culo.quando si intercetta una nave,chi ha documenti per richiedere asilo politico viene trasbordato,chi non li ha e dichiara generalità non verificabili venga pure rispedito in libia se gheddafi è disponibile ad accoglierli.se poi vengon detenuti come bestie,be,non siamo la provvidenza divina,e prima tocca pensare a non riempire i cpt di clandestini che poi non si sa dove mettere.rifiuto senza appello di rivendicazioni d estrema sx come la chiusura dei cpt o liberta di transito e permanenza incondizionata
8)pattuglioni estivi contro i vu cumprà:la gente non li vuole,i vu cumprà nemmeno,solo i commercianti.vogliamo dare un certo numero di licenze x ambulanti a costo forfettario e colpire solo chi si fa buscare senza autorizzazione?sarebbe un discreto compromesso.no alla distruzione del materiale sequestrato:anche trattasi di griffes false,be,leviamo st etichetta fasulla e regaliamo sti indumenti alla caritas!!!!!!!
9)mercato del settebello:ogni tanto la questura fa un giro punitivo in cui fa multe a dx e sx,sequestra 2 cazzate e poi passan 2 mesi come prima.ci vuol tanto a regolamentare sto mercatino comunitario?a trovargli spazi decenti?a concedere delle licenze forfettarie x un attivita che piace anche a chi il sabato pomeriggio va a farsi un giro in centro e trova prodotti di provenienza russa?vogliamo farli vendere in pace in regola con un blocchetto di fatture e senza ricorrere al terrore?
10)urbanistica:evitare la formazione di quartieri ghetto.un mio amico m ha riferito che in olanda il governo distribuisce le famiglie di diversa provenienza in modo uniforme in stabili e quartieri misti,cio x evitare creazione di chinatown come via sarpi a milano
11)campi nomadi:è inutile,tocca spendere x mettere un minimo di servizi,ma la gente rifiuta chi permane senza entrate economiche e sfoggiando mercedes incompatibili con le scene da campo profughi che si vedono in quasi tutti i campi rom.chi non riesce a dimostrare di potersi sostenere economicamente va espulso secondo il principio che si accetta solo chi può essere integrato nella società,e non viverci da parassita
12)punteggio aggiuntivo x chi è iscritto nelle graduatorie per l'assegnazione di case popolari da diversi anni.non è sostenibile nessuna ragione x spiegare a gente che da anni aspetta una casa come siano stati sorpassati da iscritti da appena un anno
lgbt
1)partire dall'art 48 della finanziaria regionale x estendere diritti e facilitazioni economiche sulla base di necessità pratiche,non su motivazioni ideologiche di privilegio della famiglia tradizionale
2)inserimento nel codice penale dell'aggravante dell'omofobia negli atti criminosi contro omosex o transgender
3)referendum popolare sulla possibilità di adozione di figli x coppie omo.la materia è controversa agli occhi di un'opinione pubblica non ancora abituata a vedere 2 uomini baciarsi in pubblico,rischieremmo un autogol a voler forzare una proposta non ancora matura nella società italiana
4)l'obiezione pelosa che i cattolici son soliti fare è:comodo chiedere gli stessi diritti delle coppie sposate senza sposarsi!bene,allora si permetta anche alle coppie omo di contrarre matrimonio
handicappati e invalidi
1)revisione completa della legge 68 che obbliga le imprese ad assumere una certa percentuale di invalidi rispetto ai dipendenti.nessuno la rispetta,nemmeno i comuni,questo perche è quasi impossibile che certe imprese trovino degli invalidi adatti alle mansioni specie di indirizzo manifatturiero.vanno riviste le percentuali e finalmente vanno previste sanzioni per chi non rispetta le quote,finora incredibilmente inesistenti
2)prevedere riserve di posti x l'accesso a corsi di formazione,in quanto gli invalidi sono i soggetti piu bisognosi di riqualificazione professionale
3)inserire gli invalidi a svolgere compiti burocratici negli uffici delle forze armate e di polizia,per impiegare individui che difficilmente trovano lavoro e permettere di spiegare più effettivi sul campo
4)gratuità d'accesso a cure e farmaci che permettono di rallentare o evitare complicanze delle malattie croniche.sono passati in fascia c farmaci o sono state assoggettate a ticket terapie a cui persone con scarso reddito rinunciano x non sottoporsi a salassi mensili,col risultato paradossale che non pagando loro queste cure col passare degli anni dovremo sostenere spese enormemente più alte per curare complicanze evitabili(x es:strisce x la glicemia o terapie fisiche contro la charcot marie o l'artrosi)
atipici
1)estensione di indennita di cassa integrazione a tutte le imprese,finanziando il tutto con una revisione delle pensioni di reversibilità(secondo me da eliminare seduta stante se non nei casi di estrema indigenza del coniuge vivo)
2)incentivi x chi trasforma un contratto da tempo det a indeterminato,da finanziare attraverso aggravi fiscali per chi rinnova i contratti con altri sempre a termine o sostituisce un contratto gia esistente con un altro sempre a termine
3)prostituzione:non è un lavoro atipico?una non può decidere di prostituirsi?le pornoattrici che fanno?vogliamo regolamentare l'attività alivello sanitario e fiscale?o vogliamo fare come dice il vaticano?
4)la cassa depositi e prestiti ha iniziato a operare colle imprese come na normale banca.perchè non usarla x far mutui a chi ha impiego precario,con sospensione delle rate quando il lavoratore è disoccupato?
ALZIAMO L'ASTICELLA
Se oggi guardiamo un po’ più in là di domani potremmo accorgerci di vivere alla fine di un ciclo politico. La fase politica, iniziata a metà degli anni ’80 con i governi conservatori statunitensi e inglesi, sta finendo, sia in Italia che nel Mondo. La decadenza della visione della società vista attraverso la lente del liberalismo economico è palese, chiara, quando un Presidente degli Stati Uniti viene associato ad una politica economica “socialista”.
Quali erano i parametri di questa cultura politica? Essenzialmente due: la critica alla società come gabbia dell’individuo (“la società non esiste” o “il governo non risolve problemi, il governo è il problema”) e la fine della partecipazione democratica in luogo del leaderismo mediatico.
Nonostante le piccole differenze, il nostro paese si è dimostrato un buon importatore di tutto questo. Il berlusconismo, e ciò che lo ha preceduto, ha sicuramente assorbito tanto da queste linee riuscendo a coniugarle con l’arretratezza e le paure della società italiana, senza trovare opposizioni alla regressione che queste idee avrebbero portato, come il presente ci dimostra, nella nostra società.
Cosa abbiamo fatto noi come centro-sinistra? Abbiamo rincorso, abbiamo rinunciato a tutte le nostre idee per perseguire solamente il rigore dei conti pubblici, giustissimo, e il buon governo del territorio, tra l’altro non sempre; al di là di questo ci siamo accodati, abbiamo scelto sindaci sceriffi con programmi stile “tolleranza zero”, abbiamo dimenticato la lotta alle disuguaglianze rincorrendo privatizzazioni sfrenate che legittimassero una classe dirigente che sentiva addosso la necessità di rinnegare le radici da cui proveniva, abbiamo svenduto il nostro partito a potentati locali o nazionali mantenendoci sempre disponibili ad un compromesso al ribasso che non abbiamo negato a nessuno. Abbiamo adattato al contesto locale (una frase usata spesso), abbiamo introdotto “riforme” di sistema mantenendo in vita un “sistema” politico e culturale da paese ottocentesco, e così abbiamo aumentato i privilegi e compresso i diritti, abbiamo fatto il federalismo e accettato la mafia, in un continuo pendolo tra innovazione e tradizione, nel solco della storia di un paese, forse unico, privo nella sua cultura di una rivoluzione democratica e liberale.
La decadenza dell’attuale governo di centro-destra ci costringe adesso, fortunatamente, a ripensare tutto questo. Riguardare consiste anche nell’accorgersi come il Partito Democratico sia stato fino ad ora visto non come una nave capace di traghettarci in un futuro alternativo quanto come una scialuppa di salvataggio sulla quale le vecchie classi dirigenti dovevano necessariamente salire per non perdere i loro piccoli privilegi. E per salire hanno rinunciato a tutti i pesi “superflui”, hanno rinunciato ad un programma di governo che sappia contrastare le disuguaglianze economiche e sociali, hanno rinunciato ad estendere le conquiste democratiche a tutte le minoranze.
Non possiamo più pensare di continuare così, i nostri prossimi obiettivi non potranno più essere legati alla sopravvivenza elettorale, dobbiamo alzare l’asticella delle nostre aspettative. Pensiamo ad un partito che possa rimettere al centro del proprio discorso uguaglianza e partecipazione, che sappia trasformare il proprio elettorato nell’attore principale di una storia capace di riportare al centro di tutto la cultura della solidarietà. Non possiamo più accettare il discorso per cui Berlusconi incarna l’Italia; il centro-destra incarna un paese arretrato, incapace di concepire il vivere sociale, incapace di immaginare un futuro. Abbiamo fino ad ora mantenuto nelle nostre prospettive un’asticella bassa, che possa comprendere tutti, naturalmente nella logica non del “non lasciare indietro nessuno” quanto in quella di “prendere su un po’ tutti” perché questo è il paese e non possiamo pensare di governarlo estraniati dalla società. Adesso è il momento di cambiare la società, di saper affrontare i temi dei diritti e dell’uguaglianza indicandoli come problemi sociali da affrontare nell’insieme. Riprendere l’idea della partecipazione politica come componente fondamentale della vita di un cittadino, politica che non può più esaurirsi nella scheda elettorale ma che ha bisogno di partecipazione viva ed attiva. Alziamo l’asticella delle nostre aspettative, anzi delle nostre pretese, apriamo quel occhio che troppo spesso c’è stato consigliato di tenere chiuso e pretendiamo il massimo, perché se penso alle aspettative mi viene in mente la divina provvidenza e di uomini della provvidenza non ne voglio proprio.
Giovanni Carghini
10/01/10
l'importanza del testamento biologico
Consapevoli che libertà significa estensione dei diritti per tutti, vogliamo porre l’accento sui diritti civili e sociali dell’individuo, ovvero su tutto quell’ ambito di interesse che pone il cittadino-persona come punto di partenza per lo sviluppo della società civile. Il concetto che più di ogni altro funziona da garante per il rispetto di questo tipo di libertà sociale è sicuramente quello della laicità, intesa come condizione imprescindibile per includere ed accettare l universo persona nella sua accezione più complessa e dignitosa del termine.
Occorre iniziare a pensare che solo attraverso la piena presa coscienza di quanto siano complessi e diversificati i bisogni umani e del riconoscimento dell’estrema ricchezza che da questo deriva, possiamo condurre una crescita responsabile della società moderna. Questo processo ha però bisogno di un crescente esercizio di libertà e di una continua messa in atto di questo, che parta dal rispetto di sé per diventare rispetto dell’altro e di tutte le sue scelte. A maggior ragione proprio perché la nostra attuale società è una società in evoluzione, veloce, articolata, abbiamo bisogno di metabolizzare questa pratica esercitandoci nel dare libertà ai diritti umani e civili. Serve dunque, un tipo di cultura rispettosa per la coscienza di ognuno che accorpi nella parola libertà anche quella di responsabilità: responsabilità del singolo che sceglie per sé nel rispetto dell’altro. La battaglia non è quindi per l individuo, ma bensì per tutti; perché è la capacità di includere che crea la dimensione sociale; rispettando da individui laici le nostre diversità e condividendole attorno ai principi fondanti della nostra costituzione noi diventiamo uomini liberi.
Un partito come il partito democratico deve farsi carico delle questioni di maggior impatto sulla vita delle persone, deve fare di più, non le deve lasciare sole di fronte a temi etici che interessano le coscienze e che a causa di un grave vuoto legislativo si prestano a facili quanto riprovevoli strumentalizzazioni ideologiche. In questo senso le coscienze dei singoli sono maturate prima di una legge dello stato; questo si è verificato anche nel territorio della provincia di Rimini, in particolare nel comune di Santarcangelo di Romagna, dove è stata votata la mozione per l introduzione di un registro del “testamento biologico”; ovvero un documento legale e gratuito che rende possibile indicare in modalità preventiva la volontà del singolo circa la decisione di accettare o meno cure sanitarie in caso di una sopraggiunta incapacità fisica o mentale. Nel sottolineare il rispetto e la sensibilità con cui è stato affrontato questo tema, così implicato nelle scelte personali di vita, vorremmo riproporre uno stralcio dell’articolo di Bartolomeo Sorge fine vita la riflessione continua proposto nel consiglio comunale di Santarcangelo di Romagna del 27 novembre 2009 dal consigliere PD Emanuele Zangoli a sostegno della mozione:
“Esiste un diritto a morire con dignità, evitando sofferenze inutili. Pertanto, «l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie e sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire». In tal caso, si dovranno tuttavia mettere in atto una «terapia del dolore» e «cure palliative» adeguate, favorendo forme di solidarietà e di accompagnamento che aiutino l’infermo (soprattutto nella fase terminale) ad arrivare alla morte in maniera dignitosa, superando il senso di disperazione che prende quando ci si vede abbandonati e si è lasciati a soffrire in solitudine.
Tant’è vero che lo stesso documento della Congregazione per la Dottrina della Fede afferma che l’obbligo di somministrare cibo e acqua per vie artificiali permane «nella misu-ra in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria». Si apre quindi il problema della competenza a formulare il giudizio sulla sopravvenuta inutilità o incapacità dell’alimentazione artificiale di raggiungere la finalità propria. È possibile, e in base a quali criteri, che l’«assistenza medica» in una determinata situazione non solo diventi inutile, ma si trasformi addirittura in «accanimento terapeutico»? Chi lo stabilisce? Chi può decidere, di conseguenza, che in quel caso concreto la nutrizione forzata si può sospendere? È evidente che questo giudizio, essendo di natura tecnica, non può venire né dai magistrati, né dai vescovi, né dal solo tutore. Sembra, tuttavia, scorretto stabilire chi ha diritto a dire l’ultima parola, dal momento che la decisione finale dovrebbe essere una scelta condivisa, frutto e coronamento di un’alleanza terapeutica stabilitasi nel tempo tra i vari soggetti che, in un modo o nell’altro, sono parti in causa nella vicenda: paziente, medico e personale sanitario, familiari e persone vicine. La storia di Eluana Englaro, perciò, impone che si chiarisca finalmente a livello legislativo la questione del rapporto tra il dovere professionale dell’équipe sanitaria e l’autodeterminazione del paziente cosicché, da un lato, sia tutelata l’autonomia decisionale dei medici e del personale sanitario — oggi spesso compromessa dal timore di incappare in responsabilità penali — e dall’altro sia garantita la libertà del malato di scegliere le cure e la loro eventuale sospensione, come prevede la nostra Costituzione: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» (art. 32).
In altre parole, la dichiarazione anticipata che il cittadino potrà liberamente fare circa i trattamenti medici che intende ricevere o rifiutare in caso di malattia irreversibile non dovrà sostituirsi al parere del medico, trasformando quest’ultimo in un mero «esecutore testamentario»; dovrà servire piuttosto a orientarne la decisione che egli prenderà in scienza e coscienza, quando sarà il momento, confrontandosi anche con un eventuale fiduciario designato dal paziente.”
In sostanza si evince da tali posizioni la volontà di distinguere tra assistenza medica e accanimento terapeutico avvalendosi di una decisione condivisa tra personale sanitario, eventualmente tutore e chiaramente “testamento biologico” del paziente.
L’importanza data al testamento biologico riguarda la libertà di autodeterminazione della volontà della persona, la possibilità di esprimere e quindi rendere note anticipatamente in tutta coscienza scelte di vita e di fine vita nel rispetto della stessa e di chi potrebbe trovarsi ad assisterci. La politica dunque, anche a livello locale, può e deve ricavarsi degli spazi di intervento a maggior ragione su tematiche di questa natura, andando a riempire dei pesanti vuoti legislativi lasciati da un orientamento nazionale che permette ancora la strumentalizzazione di questioni estremamente tragiche nella vita delle persone.
Flavia Vannoni e il gruppo giovani PD Santarcangelo di Romagna
09/01/10
QUELL'ARTICOLO 48 NELLA FINANZIARIA REGIONALE...
Domenica 10 Gennaio 2010 ore 18
Sala del Buonarrivo - Corso d'Augusto 231 / Rimini
QUELL'ARTICOLO 48 NELLA FINANZIARIA REGIONALE...
Erroneamente definito "Dico all'Emiliana", entriamo nel merito di una norma innovativa e antidiscriminatoria per ora unica nel panorama italiano.
Ne parliamo con:
Sergio Lo Giudice
consigliere comunale PD di Bologna
Presidente onorario Arcigay
<<È il principio di don Lorenzo Milani “Niente è più ingiusto che far le parti uguali fra disuguali” applicato in modo corretto: considerare come fattore di maggiore intervento il maggiore bisogno e non una supposta condizione di superiorità ai nastri di partenza>>
Sergio Lo Giudice
07/01/10
Intervista a Nadia Urbinati
Nadia Urbinati, nata a Rimini, è professoressa di teoria politica alla Columbia University. Vista la sua esperienza personale e professionale con lei parleremo del legame tra lo sviluppo socio-economico di un paese e la libertà dei suoi cittadini, e di quali siano le differenze tra Italia e Stati Uniti a riguardo.
Gli Stati Uniti sono sempre stati un paese con una popolazione molto eterogenea, che fino a qualche decennio addietro faceva della discriminazione verso certe categorie la legge, con l'appoggio di buona parte dell'opinione pubblica. Nonostante ciò nel giro di pochi anni si sono attivati dei processi che hanno portato a un rapido miglioramento della situazione, fino all'elezione del primo presidente afroamericano.
L'abolizione delle discriminazioni e l'estensione dei diritti è andata di pari passo con lo sviluppo socioeconomico del paese, mentre in Italia sta avvenendo sostanzialmente il contrario. Cosa può dirmi a riguardo?
In realtà la situazione è più complessa di come appaia. È vero che nelle grandi città americane si può parlare di emancipazione e sostanziale parità di diritti, ma nei piccoli centri e soprattutto nel Midwest dove c’é una popolazione culturalmente più omogenea, la situazione è ben diversa: la discriminazione é ancora un problema. I critici e gli oppositori di Obama, per esempio, mettono in dubbio che una persona di colore sia adatta a ricoprire la carica di Presidente.
È vero che i movimenti degli anni '60 e '70 hanno molto migliorato la cultura civile, tuttavia sarebbe sbagliato identificare la società americana con quella europea. La crisi economica è molto più' profonda negli Stati Uniti e molto più lontana da una risoluzione di quanto non appaia; la cultura neoliberale o liberista é molto diffusa e ostacola non poco la risposta alla crisi. E soprattutto spiega perché Obama venga tacciato di socialismo. Pensiamo alla riforma sanitaria che sta per essere approvata; essa ha ricevuto accuse addirittura di “comunismo”, di provocare uno sconvolgimento della società americana, che é libera e restia ad ammettere l’intervento dello stato. Gli americani considerano un’umiliazione non riuscire a coprire le spese sanitarie con i loro soldi perché nel loro modello sociale, lo stato interviene sono con i poveri e gli anziani, ovvero per aiutare chi non può. In Italia, ed in Europa, partiamo da presupposti molto diversi e da un diverso concetto di cittadinanza.
Sembra che nel nostro paese i cittadini debbano continuamente cercare di guadagnarsi il rispetto dello stato, debbano in qualche modo giustificarsi davanti ad esso per le proprio scelte, mentre dovrebbe avvenire il contrario, cioè' che sia lo stato a guadagnarsi il rispetto dei suoi cittadini. È possibile collegare l'arretratezza mentale di un paese con la sua arretratezza socio-economica?
Il problema reale dell'Italia mi sembra sia la mancanza di una cultura etica dei diritti. Forse la ragione di questa deficienza é da cercarsi nella tradizione religiosa, poiché il liberalismo é, come sappiamo, un fenomeno nato nei paesi della Riforma protestante, più individualisti e soprattutto incentrati sull’autorità della coscienza individuale, il senso della responsabilità di ciascuno. La cultura dei diritti presume una cultura dell’eguale rispetto degli altri e della propria responsabilità rispetto alla società.
Secondo lei un paese che si chiude alle differenze e al riconoscimento di uguali diritti per tutti, finisce per scontare degli svantaggi?
Di fatto l'Italia non può essere un paese chiuso, anche qualora lo volesse. Nemmeno le dittature riescono a chiudere le frontiere. E poi é il modello economico dello scambio e del mercato che impedisce di perseguire una politica di autarchia. Inoltre, l'immigrazione ci serve poiché ci servono tipi di lavoro che gli italiani non fanno più (quante sono le badanti italiane?). Ma più abbiamo bisogno di lavoratori stranieri più vediamo crescere una cultura e un linguaggio che sono razzisti e xenofobici. La ragione di questa contraddizione sta nel fatto che alcuni partiti, come la Lega Nord, impiegano questo linguaggio per usi propagandistici anche se di fatto nelle loro regioni accolgono lavoratori immigrati. La responsabilità di questi partiti é enorme perché contribuiscono, anzi alimentano un arretramento civile che ha cambiato in peggio il carattere della nostra società.
Ai primi di dicembre 2009 nel senato dello stato di New York si è discusso il "marriage equality bill" che avrebbe dovuto rendere legali le unioni tra persone dello stesso sesso. In quell'occasione la senatrice Diane Savino ha pronunciato un discorso molto emozionante in favore della proposta, con uno stile e un modo di porsi ben distante da quello che vediamo quotidianamente nel parlamento italiano. Nonostante la legge non sia passata si ha comunque la sensazione che l'argomento non sia stato sepolto e che comunque si sia fatto un passo avanti nel riconoscimento di un diritto. Pensando invece alla questione italiana dei DI.CO. l'unica cosa che viene in mente sono le polemiche e le dichiarazioni roboanti di questo o quell'esponente.
Al di là del discorso sui diritti il problema è che da noi manca un modo di fare politica basato sul discorso ragionato e la discussione franca. Non è possibile imbastire un dialogo con chi confonde i linguaggi, ad esempio chi usa quello della fede e delle opinioni private o morali per discutere di questioni che hanno a che fare con la vita civile di tutti, non solo di chi ha quella fede o quelle visioni morali. La confusione del privato con il pubblico é sotto gli occhi di tutti.
È inevitabile che in questo modo si finisca per provocare sterili guerre di opinione che lasciano il tempo che trovano e su cui non si può costruire un percorso futuro.
Come mostrano gli Stati Uniti, non è stato semplice ed immediato mutare il modo di pensare. Per quanto riguarda il razzismo, gli americani si sono impegnati per anni ad abolire tutte quelle forme linguistiche che potevano favorire lo scontro razziale. Il “politically correct” che noi critichiamo come un esempio di moralismo, é un segno di civiltà, perché quando parliamo nella sfera pubblica dobbiamo saper usare un linguaggio diverso da quello che usiamo tra amici e parenti.È la convivenza l’obiettivo a cui dobbiamo mirare non l’identità di opinioni: si può dissentire da come gli altri pensano o vivono, ma ciò non deve essere di impedimento al rispetto e non deve essere tradotto in offesa o disrispetto.
In definitiva è d'accordo nell'affermare che i paesi più liberi, dove i diritti sono più tutelati e dove le persone si sentono più libere di esprimersi siano quelli più sviluppati e con maggiori possibilità di crescita?
Certamente; del resto è stato dimostrato da scienziati politici e con dati affidabili che i paesi più avanzati economicamente sono anche quelli con una società democratica più stabile, e dove non é arduo ottenere il rispetto dei diritti da parte dei cittadini.
Laura Donati
Ai partecipanti al blog Diritti&Libertà: Ossia verso la conferenza programmatica (ma cos’è, a cosa serve, e noi a cosa serviamo?)
I blog sono una metafora della società politica: autoreferenti.
A proposito di PARTECIPAZIONE: tutti noi scriviamo (o parliamo) in pochi leggiamo e nessuno si risponde. Proviamo a interconnetterci. A trovare, dialogando, tratti comuni che ci permettano a migliorare la politica… locale (non planetaria): nel merito e nel metodo. Partendo da noi. La partecipazione è dialogo, il dialogo è comunicazione, la comunicazione è ascolto, comprensione (prima di tutto).
Sillogismo
La mia libertà finisce dove comincia la tua…
e la tua finisce dove comincia quella di qualcun altro.. etc.
I diritti ma anche i doveri di ciascuno (certi, rispettati e che rispettano) esaltano le libertà individuali che si accomunano nella società libera.
Due piccoli enunciati nei quali io credo fortemente e che mi conducono e chiedere a noi tutti (collettivo di persone accumunate da un forte senso di responsabilità e di tensione sociale) partecipanti alla cosa pubblica - la polis – prima ancora che aggregati nei circoli del Pd, quale metodo vogliamo darci per essere attori a tutto tondo su ogni questione riguardi il nostro territorio, anche la più apparentemente non degna dell’interesse degli amministratori o dei dirigenti politici dei partiti che dovrebbero rappresentarci. Non è questa la finalità, vera, della partecipazione? Ho letto gli interventi con interesse. Conosco la maggior parte di noi “partecipanti” e ne ho stima. Ho scelto di essere nel Pd per contribuire al lavoro di base costante, corale e infaticabile (non troppo minoritario e all’avanguardia come ho sempre fin qui fatto) che immaginavo il nuovo grande partito della sinistra avrebbe voluto e saputo fare. Tuttavia come gran parte degli iscritti sono sufficientemente demoralizzata.
L’esperienza dei mesi di lavoro propedeutici all’elezione del segretario mi hanno dimostrato che ancora ci si parla troppo addosso e si agisce poco, male, e con grande ritardo sui temi che maggiormente interessano i cittadini. Senza rispetto degli apporti individuali che provengono dai non titolati che disturbano comunque sempre (come quando si era “vecchi”) il manovratore. La gerarchia sia nel piccolo che nel grande sistema, non è quasi mai scelta in base al merito (intelletto e impegno per il cambiamento) ma a difesa dell’esistente e del già opportunisticamente dato (a difesa dei piccoli e grandi posti di potere). Chiacchiere al vento. Risorse umane e intellettuali sprecate. Per far finta di essere sani, direbbe Gaber.
Detto questo (come dice chi ne capisce), desidererei tanto fare insieme a voi - che bontà vostra mi leggete - un piccolo elenco di diritti e doveri che il nostro gruppo ritiene assolutamente inviolabili in quanto cittadini di questa Città e del Mondo… che tuttavia non si proponga di disegnare il libro dei sogni. Intendo obiettivi concreti sui quali desidereremmo tutti lavorare per farne occasioni di vita quotidiana partecipata, dunque di libertà individuali praticate e/o auspicabili nella nostra vita. Per farne infine una convivenza civile e collettiva, basata sulla reciprocità, di diritti e di doveri. Capace di esaltare un unico diffuso privilegio: la certezza del diritto così come quella del dovere. Senza eccezioni.
Qui per ora mi fermo. Libertà è partecipazione (Gaber) è vero. Ma poiché non è uno sport non sono d’accordo con De Coubertin: non basta partecipare perché la politica è l’arte del convincere, il cui fine ultimo è ottenere consenso. Ed il consenso – almeno se non è mafioso e clientelare - è fatto di numeri e di qualità delle teste pensanti. Noi dei circoli e dei forum che non vogliamo puntare a una poltrona, o al comando di chicchessia, dobbiamo rendere concreti e vincenti i nostri ideali di rispetto delle scelte individuali, a garanzia delle differenze (non solamente di razza o di fede o di genere) ma semplicemente perché ognuno di noi è diverso dall’altro, dunque unico e irripetibile. Nel mondo globalizzato del terzo millennio l’uguaglianza è una figura retorica priva di fondamento. Dobbiamo saper dare la giusta considerazione alle differenze affinché diventino una ricchezza. Potrebbe cominciare da qui il nostro Partito democratico. A meno che non voglia rivolgersi solamente a qualcuno e che non intenda “allineare” il popolo di democratici al minimo comun denominatore servendosi di bravi e ubbidienti soldatini tutti disciplinatamente in fila per tre col resto di uno… anziché imparare ad utilizzare i cervelli anche eretici ed eclettici, poiché meno conformisti e retorici. Che sappia scordarsi il paternalismo cattocomunista e che il populismo lo lasci a Berlusconi. Cominciando a non parlare più di “tolleranza” ma casomai di considerazione, di “gente” bensì di cittadini o di uguaglianza (ma quale, dove, per chi?) a sproposito. Diamo un senso compiuto al termine partecipazione iscritto nella logica finora tracciata dal Partito democratico: dei circoli, della provincia, della regione. Attraverso i contenuti.
Manuela Fabbri, una radicale iscritta (forse temporaneamente) al Pd
a partire dall'intercultura
Negli ultimi cinque anni il numero degli immigrati in Italia è di fatto raddoppiato. Gli immigrati sono il 7,2% della popolazione italiana, una percentuale che aumenta fino al 10% se si considera la fascia più giovane (gli under 39), dato che viene confermato dall’età media degli stranieri in Italia che è di 31 anni, mentre quella degli italiani è di 43.
Aumentano gli stranieri e aumentano infatti anche i figli degli immigrati.
Quattro bambini su dieci tra gli alunni stranieri sono nati in Italia e si considerano italiani, malgrado molto spesso non possono essere nostri concittadini. Il 70% dei bambini stranieri negli asili italiani è nato nel nostro Paese.
Nell’anno scolastico 2008/2009 (ultimo dossier Caritas sull’immigrazione), i “nuovi italiani” nelle scuole sono saliti a 628.937, il 7% degli alunni. Degli studenti “nuovi italiani”, 1 ogni 6 è romeno, 1 ogni 7 albanese e 1 ogni 8 marocchino.
Anche la geografia umana del mondo della scuola ha conosciuto dunque una rapida trasformazione.
Le Regioni con le maggiori concentrazioni di istituzioni scolastiche che superano il 20% di alunni stranieri sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Se la Lombardia presenta il più alto dato assoluto riguardo agli iscritti stranieri, la supera invece l’Emilia-Romagna se si osserva un altro indicatore quello cioè della % di alunni di origine straniera rispetto a quelli nazionali, dato che nella nostra Regione raggiunge l’8,6%, pari al doppio della media nazionale.
Oggi troviamo quindi nelle nostre classi l’Italia del futuro, quella che sarà nei prossimi decenni.
A maggior ragione, la scuola, che è luogo decisivo dove si formano i cittadini, è chiamata a svolgere una funzione essenziale nei processi di integrazione, nel delineare uno spazio dove l’educazione possa intervenire per progettare una società multiculturale, nell’ aprire l’intero sistema a tutte le differenze e nel contrastare il nascere dei pregiudizi.
Un compito scolastico ed educativo, di radicamento nel reale, che accompagni il cambiamento in corso, che prepari alla società del futuro.
In questa prospettiva, un’esperienza preziosa e importante è quella dell’intercultura.
Ho voluto ascoltare a questo proposito la voce e l’esperienza sul campo di un’amica Tania Di Leo*, insegnante, formatrice e referente dell'Associazione Giro Giro Mondo, che da tempo riflette sul tema dell’intercultura e da molti anni opera in questo ambito all’interno delle scuole del nostro territorio. Riporto di seguito alcuni passaggi della nostra conversazione.
“Un’ottica interculturale” quali azioni può modificare nella scuola per facilitare l’integrazione e la formazione dei ‘nuovi cittadini’ ?
In un clima politico e culturale in cui la diversità viene percepita sempre più come un pericolo e una minaccia, ritengo che si ci sia ancora molta strada da fare per tentare di riappropriarsi dei valori dell’accoglienza e della solidarietà. Credo che sia necessario agire alle radici del fare educativo per creare le basi di una società più giusta in cui si possa affermare per i cittadini non italiani il diritto di avere diritti.
All’interno di un progetto sperimentale di educazione interculturale che abbiamo proposto in via sperimentale a partire dal 2005 presso le scuole del Comune di Santarcangelo, il cui obiettivo dichiarato era l’integrazione degli alunni stranieri nelle classi, abbiamo interpretato il termine “interculturale” non tanto in senso informativo, cioè concentrando l’attenzione sugli aspetti esteriori, quanto in senso strutturale. In questo modo “intercultura” è divenuta la capacità di vedere e leggere non soltanto attraverso il proprio personale punto di vista, ma anche attraverso lo sguardo dell’altro da me.
Con il nostro progetto abbiamo scelto di proporre ai bambini e ai ragazzi italiani e non (e indirettamente ai loro insegnanti e alle loro famiglie) argomenti e attività capaci di suscitare interesse e coinvolgimento, con l’obiettivo di esercitarsi a leggere e interpretare la realtà attraverso l’interazione dinamica e costruttiva di una rete di sguardi.
Quello che ci ha sorpreso maggiormente nel corso degli anni è stato constatare come la presenza degli alunni di nazionalità non italiana, che inizialmente ha costituito il pretesto per proporre il progetto stesso, abbia in seguito rappresentato una risorsa per riflettere sulla nostra identità di cittadini italiani e sul nostro modo di vedere e interpretare il mondo che ci circonda.
A questo proposito mi ha colpito la riflessione di Ismail Ademi dell’associazione G2 che, parlando in un recente convegno sui figli degli immigrati nella scuola italiana, ha affermato che “gli immigrati non portano nulla di nuovo nei dibattiti, ma mettono in evidenza che molto spesso ‘gli italiani’ la pensano in maniera diversa tra di loro sui diversi temi (per esempio la libertà religiosa…)”. Ismail Ademi è un ragazzo che ci vede come una “società chiusa” per il quale “la legge sulla cittadinanza è una questione di buon senso che dovrebbe prescindere dal problema dell’immigrazione”. Forse dovremmo realmente interrogarci su cosa significa per noi essere italiani, piuttosto che pensare a cosa devono fare gli altri per diventarlo.
Un’azione educativa che parta dall’interno dell’individuo appare più che mai necessaria oggi, in una società in cui la cornice socioculturale dominante sembra irrigidirsi in difesa della cittadinanza degli inclusi, dei gruppi socialmente e culturalmente più forti, con la conseguenza di generare sempre più spesso atteggiamenti di diffidenza e paura nei confronti dell’altro da me, se non di aperta ostilità e disprezzo. Per questa via la scuola potrebbe divenire per eccellenza il luogo della cittadinanza.
Poiché l’educazione ha un ruolo preponderante nella creazione della società democratica, credo che oggi la scuola debba rivendicare un nuovo ruolo di spazio educativo, una sorta di “palestra” in cui vengano esercitati i diritti e i doveri dei giovani “cittadini”, siano essi italiani o stranieri, un luogo dove si impara a vivere insieme. Se è vero che la diversità è da intendersi come una ricchezza, è vero anche che dalla diversità nascono i fraintendimenti, le incomprensioni e i conflitti. E il conflitto rappresenta un’ottima possibilità per crescere e per comprendere fin dove arrivano i miei diritti/doveri e dove iniziano i diritti/doveri dell’altro.
Cogliere le preziose situazioni che la convivenza a scuola inevitabilmente offre e provare a leggerle in questa nuova ottica interculturale rappresenta una straordinaria opportunità per bambini e ragazzi che imparano a relazionarsi con le difficoltà del vivere insieme, ma – se opportunamente guidati – imparano anche a trovare soluzioni che tengano conto dei diversi punti di vista e a pensare in maniera più flessibile e più giusta.
Attualmente è in discussione alla Camera un progetto di legge bipartisan( On. Sarubbi-PD/On.Granata-PDL) che mira a riscrivere alcune norme sulla cittadinanza, riducendo i tempi burocratici per la concessione della cittadinanza (ad oggi requisito principale per richiedere la cittadinanza è la residenza continuativa per 10 anni, che diventano 18 anni per coloro che sono nati in Italia ma possono fare richiesta della cittadinanza solo alla maggiore età) e valorizzando l’aspetto partecipativo del processo di integrazione. L’aspetto importante è che tenta di sanare il problema dei giovani, ovvero dei figli di immigrati che arrivano nel nostro Paese in tenera età e che, a distanza di molti anni, continuano a vivere e a percepirsi come stranieri e come ospiti. La cosiddetta “seconda generazione”, i nati nel nostro Paese o giunti in Italia al seguito dei loro genitori, che hanno frequentato le nostre scuole e si sentono italiani.
E’ su di loro che nasce la vera società multietnica italiana. Sono i bambini senza cittadinanza ma italiani, quelli che hanno le stesse aspirazioni dei nostri figli ma non le stesse possibilità. Quelli più a rischio. E quelli per cui ne va del futuro del nostro Paese, non solo del loro futuro individuale. Quale la realtà dal tuo osservatorio?
Riguardo alle cosiddette “seconde generazioni” credo che troppo spesso si generalizzi nelle definizioni senza comprendere realmente che esiste una tipologia vastissima di situazioni. Basti pensare che ci sono adolescenti nati in Italia, altri nati altrove e socializzati nel nostro Paese; ci sono adolescenti di recente o di non recente immigrazione, così come ci sono ragazzi arrivati qui con la propria famiglia e altri non accompagnati. Infine ci sono i ragazzi stranieri adottati da famiglie italiane… Per ognuno di essi “stare a scuola” e “stare” nella nostra società ha un significato e un valore diverso. In termini scolastici è provato che i ragazzi nati nel nostro Paese che hanno un percorso scolastico uguale a quello degli italiani hanno esiti scolastici statisticamente inferiori a quelli dei loro coetanei italiani.
Un’attenzione particolare andrebbe dedicata, a mio avviso, agli adolescenti stranieri. Credo sia estremamente riduttivo parlare del loro disagio come di un disagio scolastico. Credo piuttosto che si debba partire dal disagio scolastico per sperimentare e consolidare risposte di sistema che producano degli effetti sull’intero contesto in cui il ragazzo vive.
Sarebbe opportuno organizzare dei contesti scolastici ed extrascolastici che abbiano una funzione educativa e che trovino uno spazio istituzionale. Penso ad esempio a dei luoghi in cui questi ragazzi, insieme ai loro coetanei italiani, possano trovare spazi di studio pomeridiano e magari trovare personale disposto ad ascoltarli e a fornirgli informazioni utili per conoscere il territorio o altro. Al tempo stesso diventerebbero degli spazi affettivi in cui essi possono imparare ad esprimersi e a partecipare.
A questo bisognerebbe aggiungere una riflessione di tipo sociologico sul tema dell’adolescenza qui e altrove e magari accorgersi che i nostri figli adolescenti, italiani, sono più simili per gusti e interessi agli adolescenti stranieri di “seconda generazione” di quanto siano simili a noi. E a questo si aggiunga anche il fatto che in termini di consumi (musicali, di moda, di cibo o altro) gli adolescenti stranieri sono uguali ai loro coetanei italiani, ma non lo sono in termini di coesione sociale.
Personalmente ritengo che la realtà sia complessa e pertanto vada affrontata nella sua complessità e che non sia possibile accontentarsi di proposte normative che non tengano conto di una tale complessità.
(Intervista a Tania Di Leo di Alessandra Pesaresi)
06/01/10
QUELL'ARTICOLO 48 NELLA FINANZIARIA REGIONALE...
Sala del Buonarrivo - Corso d'Augusto 231 / Rimini
QUELL'ARTICOLO 48 NELLA FINANZIARIA REGIONALE...
Erroneamente definito "Dico all'Emiliana",
entriamo nel merito di una norma innovativa e antidiscriminatoria
per ora unica nel panorama italiano.
Ne parliamo con:
Sergio Lo Giudice
consigliere comunale PD di Bologna
ex presidente nazionale Arcigay
<<È il principio di don Lorenzo Milani “Niente è più ingiusto che far le parti uguali fra disuguali” applicato in modo corretto: considerare come fattore di maggiore intervento il maggiore bisogno e non una supposta condizione di superiorità ai nastri di partenza>>
Sergio Lo Giudice
Sansone e i Moghul
Quando gli accademici polemizzano tra loro è sempre divertente, a meno che l'argomento sia troppo importante e allora non viene più da ridere. Sartori sul Corriere di oggi si lamenta di essere stato frainteso da Boeri (qui) che lo aveva accusato di considerare gli islamici non integrabili. Sartori (che aveva scritto in precedenza l'editoriale "incriminato") afferma che gli islamici non si siano mai integrati in alcuna società non islamica nella loro storia di quasi 15 secoli e che quindi non si integreranno nelle nostre. La ragione di questa impossibile integrazione starebbe nel loro "monoteismo teocratico" che produce tra l'altro "il martire della fede, che si uccide per uccidere (e che nessuna altra cultura ha mai prodotto)", così dice Sartori. A parte il fatto che leggiamo nella Bibbia, che come sappiamo è il testo fondamentale di Ebraismo e Cristianesimo, che Sansone si uccise con tutti i Filistei, cioè si uccise per uccidere, come un kamikaze (che peraltro è parola giapponese e non islamica), a parte questo, a me pare che l'argomento principale di Sartori sia difettoso proprio là dove dichiara di essere forte, cioè sul piano metodologico e storico. Storico perchè l'idea di integrazione come la pensiamo noi oggi non è applicabile alle società passate, al limite si può parlare di tolleranza, di cui le società islamiche hanno dato prova, comprese le comunità islamiche in società non islamiche (si pensi all'Andalusia medievale e alla Sicilia di Federico). Ma anche questo non prova nulla. Non si può affrontare il problema dell'integrazione di oggi facendo riferimento all'Andalusia medievale o all'impero dei Moghul. Nessuno storico serio lo farebbe. Lo fanno i politici e i cattivi pubblicisti. Dal punto di vista metodologico l'argomento di Sartori (che peraltro non è uno storico, come non lo è Boeri che però non porta argomenti storici appunto) è ancora più difettoso. Sono d'accordo che nelle scienze sociali lo studioso "deve isolare la variabile a più alto potere esplicativo, che spiega più delle altre", e in questo caso per Sartori tale variabile sarebbe il "monoteismo teocratico", ma nessuna variabile di questo genere può sostenere 15 secoli di storia, altrimenti si cade nell'"essenzialismo", che la storiografia ha ormai espulso da decine e decine di anni e che consiste nel definire (più o meno arbitrariamente) l'essenza di un fenomeno e filtrare i fatti concreti in base al loro potere di confermare l'essenza o di smentirla, dando significatività ai fatti che confermano e scarso peso agli altri. Sartori può certo dire, se vuole e ritiene che la variabile sia quella, che l'islam di oggi sia afflitto da monoteismo teocratico (e anche qui ci sarebbe da discutere e molto), ma lo farà da politologo, da studioso dell'attualità sociale e politica, non certo da storico.
05/01/10
Ravenna - Mor, espulso dopo 19 anni di lavoro regolare...
Evita il rimpatrio solo grazie al rifiuto di decollare da parte del capitano dell’aereo
da Il Fatto Quotidiano - 8 dicembre 2009
L’udienza di fronte al giudice di pace è fissata per il 19 novembre, ma viene rinviata al 3 di dicembre. Intanto Mor resta al Cie “Dove - dice - eravamo 180 in 16 stanze. E dove mi hanno fatto consegnare tutto: orologio, due cellulari, una catenina d’oro. E alla fine mi hanno restituito solo un cellulare. Quello più vecchio”. Ma questo è nulla: la notte tra l’1 e il 2 dicembre Mor viene prelevato da alcuni poliziotti e portato a Malpensa dove lo imbarcano sull’aereo Milano-Dakar, per il rimpatrio. Mor Niang reagisce. Nonostante sia legato alle mani e ai piedi e tallonato dai poliziotti inizia a urlare così tanto da spingere il capitano dell’aereo a farlo scendere per ragioni di sicurezza. “Anche i passeggeri - racconta Mor - si sono spaventati. Perché dovevo tornare a Dakar? Sono 19 anni che vivo in Italia, non ho mai fatto niente di male. Invece loro, i poliziotti, mi hanno legato, caricato sull’aereo, e dopo che ci hanno fatto scendere mi hanno anche picchiato”. Per ora Mor Niang non è stato rimpatriato. Ma è ancora indagato per soggiorno irregolare.
Perché mai a Mor Niang non è stato rinnovato il permesso di soggiorno? La Questura della città romagnola ha motivato il diniego a causa del basso reddito presentato dal senegalese per il 2008. Per il Testo Unico sull’immigrazione, le Questure possono chiedere agli stranieri di dimostrare di avere i mezzi di sostentamento per poter rimanere in Italia, stabiliti a un minimo di 5.317 euro. Ma la normativa non è così rigida, anzi: “Le autorità preposte alle verifiche - spiega la legale di Mor, Sonia Lama, che ha già presentato il ricorso - sono invitate a farlo quando ci siano fondate ragioni per richiedere il requisito”. La legge va interpretata e contestualizzata: “Le fondate ragioni subentrano se ci sono dubbi su presunte attività illecite, se uno straniero non è incensurato, se non fornisce un documento di identità valido. Oppure quando ci sono motivi di ritenere che il reddito non sia lecito”. Mor Niang invece è incensurato e ha sempre lavorato. La scelta della Questura pare quindi “Discrezionale - dice Sonia Lama - indicativa di un giro di vite sugli stranieri. E fornisce un precedente pericoloso perché un cittadino come Mor non dovrebbe essere sottoposto a questo tipo di verifiche. Parliamo di un cittadino integrato, onesto e laborioso. L’applicazione rigida della normativa può portare a un meccanismo persecutorio”. Perché, come è accaduto a Mor, a tutti gli stranieri può capitare di guadagnare poco per un anno. Specialmente in un anno di crisi.
Ma le ragioni per cui Mor Niang ha guadagnato poco non sono legate neppure alla flessione dell’economia. “Sono dovuto andare in Senegal - racconta Mor - per cinque mesi, perché mia madre era ammalata. Le sono stato vicino finché è morta. E quando sono tornato ho fatto fatica a trovare lavoro”. L’ultimo impiego è stato nel settore dell’agricoltura. Ma prima Mor Niang aveva fatto il commerciante ambulante. Con regolare licenza. “Sono stato vittima - commenta il senegalese - di una violenza enorme. Voglio giustizia”. Ravenna comunque si è stretta in difesa del cittadino straniero, dalle associazioni di immigrati al primo cittadino. Il Prefetto di Ravenna, Riccardo Campagnucci, ieri mattina ha chiesto la sospensione del provvedimento ancora pendente su Mor Niang. Ora la Questura potrebbe rivedere la propria posizione e decidere di rinnovare il permesso di soggiorno a un cittadino che, in 19 anni, non si è macchiato di nessun reato e ha semplicemente contribuito al benessere del nostro paese.
Elisa Battistini
Bilancio partecipato e strumenti di interazione col cittadino
Uno degli strumenti sperimentato, e lentamente inserito all’interno delle prime pagine dei programmi elettorali nelle realtà interne e limitrofe alla provincia di Rimini, è il bilancio partecipato, un’esperienza importante e di apertura vera nei confronti della comunità.
La capacità degli amministratori di ascoltare i cittadini con le loro esigenze, cogliendo gli indirizzi principali del loro agire, è non solo fonte di ricchezza per l’amministrazione nella definizione delle priorità di governo, ma può assumere anche la forma concreta di un’azione amministrativa.
Il bilancio, infatti, è l’atto fondamentale per l’amministrazione di un ente e da questo dipendono i risultati e gli indirizzi politici che saranno resi strategia.
Quindi vanno programmate, e possibilmente messe a sistema anche all’interno di un contesto provinciale, quelle dinamiche per cui si renda possibile avvicinare i cittadini alle scelte riguardo la propria comunità, che in modo trasversale interessano anche la qualità di vita dei singoli.
Gli amministratori devono essere vicini alle esigenze ed avere “il polso” della situazione.
L’esperienza del comune di Santarcangelo che ha visto recentemente l’approvazione del bilancio si è articolata attraverso più canali di partecipazione.
Da un lato i forum per la programmazione strategica del territorio, gli incontri della giunta nelle frazioni e zone della città con tutti i cittadini per illustrare le linee ipotizzate dall’amministrazione e recepire le esigenze e le problematiche della città, prima della stesura finale del bilancio presentato in Consiglio Comunale.
Dall’altro l’utilizzo del web come fonte costante di informazione e di interazione con la comunità locale, attraverso il semplice coinvolgimento dei cittadini che hanno potuto compilare un questionario anonimo on-line per indicare le priorità di allocazione dei fondi previsti dal bilancio all’interno di alcune opzioni (Viabilità, Ambiente, Trasporti etc…una di queste era proprio la Partecipazione). Il web rappresenta poi la possibilità di intercettare quelle fasce di cittadini, soprattutto giovani, che, per motivi di studio o di lavoro fuori sede, vivono la città prettamente nel fine settimana. Il loro contributo è un ulteriore arricchimento fornito da persone che hanno la possibilità di avere uno sguardo più aperto, meno campanilistico, capace di integrare esperienze innovative e variegate attinte da territori non limitrofi.
Allo stesso modo, creare coinvolgimento passa oggi anche attraverso la valorizzazione del sito web del Comune, dove la tempestiva pubblicazione delle news riguardanti la città, la vita della comunità, gli eventi ma anche tutti gli atti amministrativi (odg e sintesi del Consiglio, comunicati stampa etc) aiutano il cittadino a sentirsi parte viva della città, e a fungere egli stesso da strumento di trasmissione del “vissuto” della comunità.
L’attivazione congiunta di tutti i canali di interazione con il cittadino a disposizione dell’amministrazione e della politica ne incentivano la partecipazione responsabile, dove il cittadino diventa appunto protagonista del governo della comunità in cui partecipa.
Questo ruolo attivo va preservato ed incentivato con lo scopo di rafforzare la coesione sociale e il senso di appartenenza al territorio, evitando di isolare e creare vuoti paradossali tra cittadini ed amministratori.
Filippo Sacchetti e Alice Spadazzi
Da plebe si diventa popolo
04/01/10
Istituzione del registro per il “testamento biologico”
Il caso di Eluana Englaro ha riportato all’attenzione di tutti la delicata questione del fine vita, sul quale ha pesato, purtroppo, un vuoto legislativo tamponato dalle sentenze dei giudici ma che, proprio per l’importanza che riveste, richiede un adeguamento delle normative a livello nazionale anche alla luce delle nuove scoperte scientifiche nel campo della medicina. Anche questa volta, la nostra classe politica è riuscita a non mantenere le promesse, impedendo la ricerca di una soluzione politica, qualunque essa fosse, che il Parlamento si era impegnato a garantire in tutta fretta per evitare il ripetersi di nuovi casi simili.
Tuttavia, esistono margini entro i quali la politica può trovare delle soluzioni, supplendo a livello locale al compito dello Stato di garanzia del rispetto dei diritti dei cittadini senza sostituirsi alla colpevole manchevolezza delle decisioni legislative che necessitano di un orientamento nazionale.
E’ proprio entro questo sottile - ma esistente - spazio, che molte amministrazioni comunali in tutta l’Italia, e anche nella provincia di Rimini, si stanno attrezzando per istituire un registro per il “testamento biologico”, ovvero un documento legale che permette di indicare anticipatamente i trattamenti medici che ciascuno intende ricevere o rifiutare in caso di incapacità mentale, di incoscienza o di altre cause che impediscano in maniera irreversibile di comunicare direttamente ed in modo consapevole con il proprio medico. Tale registro consentirà quindi a tutti i cittadini che intendessero effettuare il proprio “testamento biologico”, la cui sottoscrizione è attualmente consentita presso un notaio, di rivolgersi direttamente al proprio Comune senza sostenere le conseguenti spese notarili.
A Santarcangelo nel consiglio comunale di fine novembre è stata votata una mozione con la quale si dà mandato alla Giunta comunale e al sindaco di disporre la raccolta e la conservazione delle dichiarazioni di testamento biologico e di predisporre un regolamento per la disciplina della materia da sottoporre all’approvazione del Consiglio comunale, e di predisporre uno schema di atto nel quale il dichiarante possa esprimere le proprie dichiarazioni anticipate di trattamento. L’iter della mozione era iniziato precedentemente, portata in Consiglio dal rappresentante della Lista Civica nei banchi dei consiglieri, ma proprio per l’importanza e la delicatezza della questione che riguarda direttamente la vita del singolo cittadino è stato deciso, su proposta del gruppo consiliare del Partito Democratico di fare un passaggio preliminare in commissione. L’intento della decisione è stato quello di generare un dibattito preliminare più libero, svincolato dal voto, di approfondire alcune questione tecniche e trovare una più ampia base di consensi su una questione che, per quanto possibile, non dovrebbe essere appannaggio esclusivo di un partito politico.
L’esperienza locale, quindi, dimostra come in tema di tutela dei diritti si possa trovare delle soluzioni, colmando, anche là dove la normativa nazionale non è ancora chiara, quegli spazi legislativi che in qualche modo possono favorire la piena libertà dei cittadini. E’ importante poi sottolineare l’importanza del dialogo e della ricerca della condivisione (che non significa compromesso) anche con le altre forze politiche come metodo di lavoro, particolarmente per i temi eticamente sensibili, sui quali è dovere della politica dare risposte certe, adeguate ai tempi della società in cui viviamo, che siano il più possibile avulse da posizioni idelogiche, ma rispettose di tutte le sensibilità che coesistono nel nostro paese.
Alice Spadazzi