31/12/09

Il Dio “dai mille nomi e dai mille volti"

Un contributo di Angela Savini

Vorrei condividere con tutti voi, quale contributo al gruppo di lavoro DIRITTI & LIBERTA’ sul tema libertà come multicultura, questa riflessione-sintesi del discorso di IVAN NICOLETTO, monaco di Camaldoli, intervenuto a Milano agli Stati Generali degli immigrati in Italia il 28 novembre 2009. [QUI PUOI SCARICARE TUTTO L'INTERVENTO]

Il suo discorso di ampio respiro “profetico e liberatorio” sollecita in ciascuno di noi la creazione di mentalità e di identità ospitali, di una cultura che sa trarre beneficio dalla presenza di ciascun altro/a; è un cambio di rotta proprio nel momento in cui aumenta la diffidenza nei confronti delle diversità umane, siano esse di razza, di sesso, di religione o cultura.

Il suo intervento parte da una riflessione sulla storia d’Italia che, proprio per la sua configurazione fisica, è stata al centro di flussi migratori in entrata e in uscita; questa mobilità “sfata il mito della nazione etnica…. noi siamo l’esito di una lunga sequenza di processi ibridativi con le diversità delle genti con cui siamo venuti a contatto”.

In questo panorama abbiamo davanti due opportunità: fare mondo o fare muro.
I progressi tecnologici e mediatici hanno facilitato il rapporto fra idee, persone e beni ma, paradossalmente, sono sorte controspinte impaurite che hanno prodotto l’innalzamento di alte mura visibili a difesa degli Stati nazionali o dei localismi (muro tra Israele e Palestina, fra Messico e California.. …ma anche da noi a Padova in via degli Anelli, le barricate contro i Rom a Roma…) e mura invisibili (ultimamente le crociate White Christmas). Queste scelte non sono altro che la risposta di paura, di difesa, di controllo di una comunità che si percepisce “una fortezza assediata da nemici”.
Il decreto di sicurezza sulla immigrazione esclude la possibilità della solidarietà nei confronti dell’immigrato, testimonia “la fatica di approntare le forme politiche e sociali convenienti ad una civiltà globale composta da differenze singolari dove convergono occidentali e orientali, islamici, turchi e confuciani, cinesi e africani, buddisti e slavi…”.
Per superare l’evidente paradosso di un mondo che, da una parte si apre alla libera circolazione di uomini, idee e beni ma nello stesso tempo si chiude a coloro che desiderano “condividere il benessere raggiunto da alcuni”, occorre “inventare comportamenti nuovi rispetto a quelli attuali dettati da possesso, esclusione e repressione” e creare “spazi fraterni, sociali e politici accoglienti”.
Ciò può accadere se si riesce a “disinnescare la miscela esplosiva della paura, delle dinamiche di immunizzazione e del mito della purezza”.
Gli ultimi avvenimenti nei confronti degli immigrati sono il risultato di una cultura che genera e alimenta paura, strumentalizzata politicamente: si alza la soglia di attenzione nei confronti della minaccia, si regredisce “ad uno stadio di aggressione contro tutti i diversi……, più ci si chiude all’altro, più la paura aumenta…. finchè si finisce per credere che i nemici sono ovunque e che tutti i mezzi sono leciti per proteggersi”. Le paure creano una distanza/distacco dall’altro, ci spingono a mettere in atto delle ”dinamiche immunitarie” e alimentano il principio di “epurazione”.
Il concetto di purezza spinge l’uomo a preservare il proprio profilo affermando la propria superiorità, arrivando “a semplificare, distruggere, ripulire, allontanare, omologare, sacrificare”, in definitiva allo scontro.
Quindi “ l’unica strategia possibile è quella integrativa delle diversità” dove vivere un processo di ospitalità permanente non significa “dissolvere la propria identità, ma mantenere aperta la soglia d’ingresso e le finestre, per una condivisione e una reciprocità, abitanti di un unico mondo che abbiamo in comune, a cui apparteniamo in modo dialogico, che non è appropriabili da nessuno.
In questo contesto di globalizzazione multiculturale da una parte e di palpabile xenofobia dall’altra, le tradizioni religiose, le fedi, le spiritualità possono diventare terreni che promuovono l’incontro e favoriscono l’accoglienza in quanto tutti “ apparteniamo all’avventura immensa e imprevedibile della terra”.

Il Dio “dai mille nomi e dai mille volti” ci accomuna con straordinaria creatività, sprona ciascuna fede e spiritualità “a produrre frutti di comunione e umanità”.
Ivan Nicoletto riflette, quindi, sui due misteri principali, cardine della tradizione cristiana: la trinità e l’incarnazione di Dio.
Ogni persona della trinità, pur differente, è in relazione aperta all’altra….. unita da un legame di Amore per il quale una non è mai senza l’altra.
L’incarnazione è il Dio che rivela il suo volto umano in Gesù, “rivoluzione pericolosa e misericordiosa” in quanto consente “al nuovo di sprigionarsi, di rompere la ripetitività dell’oppressione……., di abbracciare tutti fino a destabilizzare le gerarchie e le potenze di questo mondo che vivono sul dominio e sull’ingiustizia”.

Quindi il comportamento aggressivo, violento e intollerante nei confronti del diverso, dello straniero, è un atteggiamento in contraddizione con “l’appartenenza cristiana”.

Ivan Nicoletto conclude la sua riflessione con un invito, determinato proprio da questi tempi in cui le identità nazionali e politiche, economiche e religiose sono chiamate a trasformarsi, a non reagire chiudendosi in se stesse, ma a crescere in una “prospettiva pluralista” cogliendo nelle differenze la possibilità di una” nuova inedita cultura che non può fare a meno dell’altro, non solo per ragioni economiche, ma come presenza che contribuisce a forgiare la futura identità dell’Europa”.

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